di Xenia Tovar

 

Dopo tre anni d’intenso negoziato e un giorno dopo la partenza di Papa Francesco, nella capitale cubana, l’Avana, il presidente colombiano Juan Manuel Santos e il leader delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc), Rodrigo Londoño, noto anche come «Timochenko», con il consenso internazionale di più di ottanta paesi e numerose organizzazioni multilaterali annunciano la fine del negoziato con un accordo definitivo di pace e la fine del conflitto armato interno che la Colombia vive ormai da cinquant’anni.

ColombiaLa grande sfida di questi tre anni è stata trovare le vie giuridiche ad accordi politici che raggiungessero il maggiore consenso sociale possibile, in special modo per la tutela delle vittime.

Raggiunti gli accordi in merito alla politica territoriale, allo sviluppo agrario, alla determinazione delle vittime del conflitto armato e alla fine del narcotraffico e delle coltivazioni illegali, quest’ultima e cruciale fase del negoziato si è concentrata su altrettanti punti salienti, come:

a) il meccanismo giudiziario da applicare nel caso dei numerosi crimini di guerra commessi dalle parti
b) la trasformazione graduale delle Farc in un movimento politico popolare basato sul consenso elettorale, movimento che s’inserirà nel sistema democratico del Paese
c) la data della firma della pace, gesto simbolico e strategico al tempo stesso, che fissa la fine del conflitto armato e il disarmo totale e definitivo delle truppe di guerriglia più longeve e anacronistiche del mondo.

In materia di giustizia si predisporranno le basi per un’ampia amnistia nei confronti dei combattenti e di tutti i ranghi della gerarchia della Farc, amnistia che tuttavia escluderà tutti i crimini di guerra più efferati che riguardino conclamati delitti e abusi contro l’umanità. Questi ultimi saranno giudicati da un tribunale speciale composto da magistrati colombiani e di tribunali internazionali .
Le pene per chi collaborerà con il tribunale saranno tra i cinque e gli otto anni di restrizione effettiva della libertà in condizioni ordinarie. Gli indagati che non contribuiranno all’effettiva ricostruzione dei fatti nel caso di crimini conclamati nei confronti delle vittime del conflitto saranno passibili di una pena ordinaria fino a vent’anni di reclusione. Il tribunale sarà competente anche nei confronti di tutti i componenti dell’esercito regolare della Repubblica di Colombia indagati per crimini e abusi contro l’umanità perpetrati nel corso del conflitto; in tal caso agli indagati sarà data facoltà di fare riferimento al tribunale straordinario o di scegliere la giurisdizione ordinaria.

La credibilità di questa complessa soluzione giuridica riposa sulla validità formale e sostanziale che  la Corte Interamericana di Giustizia riconosce a questa fase finale dell’iter del processo di pace.

In materia strettamente politica la trasformazione delle Farc in un movimento politico popolare spiana la strada verso il sistema democratico ad una organizzazione militare fino a ieri assolutamente illegale. La metamorfosi democratica della Farc rappresenta una soluzione brillante e geniale, a mio parere una perla nell’ambito del processo pace: attraverso di essa la guerriglia attiva più vecchia del mondo non potrà non ammettere che il potere della democrazia ha vinto sulla presunta forza delle armi. Questo fatto riporta la politica al ruolo di arbitro assoluto e imparziale nella risoluzione di conflitti sociali ponendosi come un esempio fondamentale soprattutto in tempi difficili come i nostri, dove spesso la violenza si appropria indebitamente della bandiera dell’attività politica, guardando ai tanti casi noti dei paesi africani.

La conseguenza naturale di questa decisione, com’è connaturato alla democrazia, sarà il responso dei cittadini in occasione delle elezioni, occasione nella quale rappresentanti della Farc avranno la possibilità di entrare pacificamente a far parte delle istituzioni attraverso una consultazione libera e democratica dove anche il centro destra alla Leadership dell’ex presidente Uribe è incluso.

Gli attuali componenti della Farc, tuttavia, sanno che per loro è prematuro e rischioso competere come forza politica democratica nell’ambito di elezioni regolari: i sondaggi danno infatti una popolarità assai bassa alla loro leadership.
Il sintomo di questa preoccupazione si manifesta nell’opposizione della Farc a un referendum popolare rivolto ai cittadini colombiani – fortemente voluto dal presidente Santos –  che ratifichi tutti i punti del patto dell’Avana; gli ormai ex rivoluzionari propendono invece per un’Assemblea Nazionale dove il Governo in carica e la ex-Farc si facciano carico, prescindendo dalla consultazione referendaria, di un’ampia riforma costituzionale a conclusione del processo di pace.

Il nostro prossimo appuntamento sarà il 23 marzo 2016, tra sei mesi, data promessa per la firma della pace; durante il mese di maggio dello stesso anno si verificherà invece la reale consistenza del disarmo, nei termini dell’effettivo numero di armi consegnate ad un terso. Sarà questo il passaggio più concreto e delicato che mostrerà ai colombiani e al mondo la reale volontà di tutti i membri della Farc di rispettare l’accordo.

Questa fase finale del processo di pace costituirà la reale opportunità per la Colombia di mettere la parola fine alla guerriglia più longeva della storia moderna: dal disarmo reale dipenderà la possibilità, per un paese tra i più dinamici, giovani e in crescita dell’America Latina, di non cadere nuovamente in un altro tipo di conflitto, che la presenza di grandi arsenali illegali può generare da un momento all’altro, dietro l’angolo della democrazia.