di Giampietro Parolin

Due brevi saggi sulla presa delle decisioni.

L’estenuante maratona che ha portato al recente accordo di Parigi sul clima dice molto sul faticoso esercizio della discussione che frequentemente precede il voto nelle decisioni collegiali. È necessario creare un clima di fiducia per poter dialogare davvero. Le logiche insite nelle decisioni collegiali.

Conoscere è potere. Non solo in politica. Una vera decisione consapevole, in politica come sul mercato, nasce dall’accesso ad un’informazione completa e veritiera. Il ruolo controverso delle lobby e la tendenza a delegare la decisione sui beni comuni.

Discutere per decidere. Un percorso ad ostacoli.

Un noto proverbio africano proferisce “Tutto ciò che fai per me senza di me, lo fai contro di me”. Una bella sintesi del desiderio di partecipazione che attraversa tutta la nostra vita sociale dai poli all’equatore. Tuttavia la sua realizzazione è un percorso tanto affascinate (e necessario) quanto insidioso.

L’estenuante maratona che ha portato al recente accordo di Parigi sul clima dice molto sul faticoso esercizio della discussione che frequentemente precede il voto nelle decisioni collegiali. D’altro canto la mancanza di un accordo, e quindi di una decisione (o il suo rinvio), potrebbero avere conseguenze nefaste per la vita in comune.

Sono diversi gli ostacoli che si frappongono ad una discussione costruttiva verso un accordo condiviso: preferenze e opinioni diverse sia sugli esiti che sulle azioni da fare, conflitti di interessi, informazione privata non condivisa.

E’ evidente – anche se potrebbe non essere scontato – che una conversazione su qualsiasi argomento con gli amici potrebbe lasciare alla fine ciascuno sulle posizioni iniziali, mentre se il confronto deve portare necessariamente ad un accordo, il medesimo discutere potrebbe cambiare completamente i connotati.

Subentrando qualche forma di interesse – o semplicemente per preferenze e opinioni diverse – possiamo essere tentati di gestire in modo strategico le nostre informazioni, potremmo essere incentivati a tacere o addirittura mentire. Se in un’assemblea di condominio (ma anche di un’associazione) desideriamo una soluzione rispetto ad un’altra, ecco che il nostro scambio informativo sarà condizionato.

In una discussione (o un dibattito) che precede un voto, i modelli di analisi economica (in parte confermati dagli esperimenti) ci dicono che i soggetti possono assumere diverse posizioni in relazione alla “quantità di interesse” di cui sono portatori, impegnandosi quindi in modo differenziato.

I soggetti fortemente interessati ad una certa posizione (gli estremisti) come pure quelli totalmente disinteressati , non traggono nessun vantaggio dalla discussione e attendono il voto su cui hanno già deciso – chi per interesse chi per la propria semplice opinione.

Gli unici soggetti che hanno qualcosa da guadagnare dalla discussione sono coloro che hanno un interesse, ma sono aperti a confrontare la loro posizione con nuova informazione, potendo così cambiare idea.

Come possiamo constatare anche direttamente che una discussione può generare conformismo, polarizzazione delle posizioni (più estreme dopo aver discusso) e contrasto personale. Si tratta di aspetti problematici che depotenziano le possibilità creative ed innovative di una decisione collegiale.

Un aspetto interessante e spesso, nella pratica, sottovalutato riguarda la qualità dell’informazione: i modelli e gli esperimenti ci dicono che più questa aumenta, più si riducono i comportamenti “opportunistici” ed i conflitti. Il tema della qualità dell’informazione si scontra con la difficoltà che essa sia disponibile per tutti i membri di un gruppo decisore, e che essa sia per tutti verificabile.

Solo se i componenti del gruppo condividono valori comuni o sono allineati nelle loro preferenze, c’è la probabilità che l’informazione venga condivisa e considerata credibile, quando manca questo presupposto possono prevalere incentivi al silenzio e alla manipolazione delle informazioni stesse.

Entrano così in gioco i meccanismi legati alla reputazione e alla fiducia: la sfida che si pone, è pertanto quella di creare situazioni di condivisione di informazione a partire da valori e preferenze diverse, contesti in cui sia possibile soppesare pro e contro di una decisione – che comunque avrà conseguenze sui partecipanti – considerando gli effetti ma anche le ragioni di chi la sostiene.

La discussione assume il ruolo pertanto, non solo di un luogo di condivisione di informazione, ma soprattutto di un meccanismo di coordinamento per un’azione comune nel processo di una decisione collegiale. L’ostacolo più impegnativo, può essere la necessità di conciliare le nostre preferenze ed opinioni individuali con quelle delle persone con cui ci stiamo accordando, per costruire il terreno comune, la polis da abitare. Vale per una famiglia, come per il governo di una nazione.

 

Conoscere è potere. Non solo in politica.

In questi tempi di terrore “liquido” non si fa che parlare di intelligence e di come il lavoro dei servizi segreti possa aiutare a prevenire attacchi terroristici.

Il gran capo dell’Fbi, J. Edgar Hoover, ( del quale recentemente Di Caprio ha prestato il volto in un famoso film) affermava nel secolo scorso che “informazione è potere”. Che si tratti di votare, o fare semplicemente un acquisto, ogni decisione ha a monte un processo di raccolta ed elaborazione di informazioni.

Da sempre, anche nell’epoca digitale di Big Data che Castells ha definito “era dell’informazione” per la potenziale accessibilità di questa merce così preziosa da parte di moltissime persone, acquisire informazioni è processo costoso, poichè chiede tempo e risorse. Eppure, paradossalmente, la sovrabbondanza di informazione crea problemi di selezione: discriminare la buona informazione nella grande marea che ci invade ogni giorno in quel caleidoscopio che va dai giornali ai tele notiziari fino al profondo mare di internet e connessi social, non è banale, così come non è scontato interpretarla per poterla utilizzare.

Accade così che, molto spesso, deleghiamo la produzione e la selezione di informazioni ad altri soggetti che lo fanno di mestiere, come i giornalisti e gli analisti, o semplicemente per passione civile, come molti blogger. Ma ci sono anche i produttori di informazione “interessati”, coloro cioè che sperano di portarci dalla loro parte. Lobby economiche e politiche – la fortunata serie tv House of Cards ce ne offre un saggio – usano strumentalmente le informazioni, anche manipolandole, per persuadere.

Tuttavia sarebbe sbagliato demonizzare completamente il ruolo di lobby e patrocini. Spesso questi soggetti producono informazioni affidabili e di qualità. Secondo la teoria economica la situazione ideale per acquisire informazione da parte di una persona non informata è di poter disporre di parti interessate in competizione fra di loro.

È quello che un buon dibattito pubblico potrebbe produrre. Purtroppo accade raramente anche in Tv, dove programmi di intrattenimento a sfondo politico (i vari Porta a Porta, Ballarò e simili) raramente fanno ragionare i diversi esponenti politici su un unico tema e su dati ufficiali condivisi: prevale il marketing politico, dove ognuno parla al proprio elettorato dei contenuti a cui esso è più sensibile, senza approfondire ragioni, problemi e proposte di soluzione reali e coerenti.

Interessante è, invece, quanto sta sperimentando Beppe Servergnini col suo programma “L’Erba dei vicini”. Il pubblico viene invitato a una prima votazione su un tema specifico (che misura i pre-giudizi), rispetto al quale vengono poi fornite una serie di informazioni tramite dati e interviste. Si procede poi ad una seconda votazione “informata”, nella quale si può osservare chiaramente l’effetto della nuova informazione. In questo contesto, ovviamente, a parte un po’ di “sano campanilismo”, non vi sono interessi in gioco.

Lo stesso può accadere nelle assemblee e nei comitati in cui siamo chiamati a decidere insieme: possiamo delegare ad altri l’acquisizione di informazioni, oppure impegnarci in prima persona, potendo così disporre di un vero potere decisionale. Ma succede anche nei social, dove con facilità cadiamo preda di “bufale” se le informazioni non sono sostanziate e verificabili. Quest’ultimo fenomeno indica quanto le emozioni rappresentino un potente filtro alla nostra capacità di acquisire e interpretare le informazioni.

Non è indifferente, e si potrebbe approfondire, la diversità di atteggiamento su beni privati e beni pubblici: diverse indagini raccontano che dedichiamo molto tempo per acquisire informazione sulle scelte private (ad es. l’acquisto di un telefonino) e molto meno per le scelte pubbliche, a parte quando ci impattano direttamente, assumendo un valore di fatto privato. Solo allora la mobilitazione ci spinge ad impegnarci ad acquisire e capire l’informazione.

fonte: Città Nuova