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FONTE: CITTÀ NUOVA
 
Nel 53° rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese si registra il passaggio dal rancore alla cattiveria, all’incertezza. Con la tentazione di ricorrere all’uomo forte. Ma ci sono segnali di forte controtendenza. Non tutto è perduto
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ANSA / Filippo Venezia

Nel 2017 il concetto-chiave fu “rancore” e nel 2018 “cattiveria”. Nel 2019 per il Censis la parola dominante è “incertezza” in una società ansiosa e macerata dalla sfiducia.

Tuttavia non tutto è perduto. Il Rapporto del Censis vede nubi nere all’orizzonte e gravi fenomeni di “corrosione delle giunture” e delle “guarnizioni” del sistema Paese. «La società italiana ha guardato a lungo inerte il cedimento delle sue strutture portanti, con un cinico adeguamento alla navigazione inerziale. Ora però a questo cedimento, puntellando se stesso, il nostro Paese sta cercando una soluzione…Vive e sente uno spirito nuovo…Sé in sé rigira» osserva il Censis citando Dante.

“Piastre di sostegno strutturali” e “muretti a secco”, innalzati a livello di base per arginare il declino e provare a reagire allo sgretolamento. Questi sono gli aspetti emersi nel 53° Rapporto Censis.  Il quadro sociale e politico è più scuro di quello tracciato negli ultimi Rapporti se si parla di una “società ansiosa di massa e macerata dalla sfiducia”.

Nello straordinario cambiamento epocale, l’ansia è riuscita a trasformarsi in furore, ma esiste un prezzo da pagare: la sfiducia. «Un virus che si annida nelle pieghe della società».

Nasce da «disillusione, stress esistenziale ed ansia».  Il 75 % degli italiani non si fida più degli altri. Altro prezzo da pagare: «le crescenti pulsioni antidemocratiche». Il 48% degli italiani dichiara che ci vorrebbe “un uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni (67% tra gli operai).

I cittadini scoprono «il bluff dell’occupazione che non produce reddito e crescita. Più occupati e meno lavoro». Poi uno tsunami demografico. L’Italia si presenta come «rimpicciolita, invecchiata, con pochi giovani e pochissime nascite». Il Sud registra un grande esodo.

Quest’anno prevalgono le tinte fosche ma non tutto è perduto. «Abbiamo visto in questi mesi-sottolinea il Censis- l’accentuarsi di reazioni positive, di contrapposizione ad una prospettiva di declino».

Si vuole fermare l’adeguamento verso il basso e lo sgretolamento. Si tenta un cambio di direzione. Il Censis individua cinque “piastre di sostegno”: la prima è «nella dimensione manifatturiera, industriale del nostro sistema produttivo e nella sua capacità di innovare, almeno in parte, di trainare la crescita».

Seconda pietra di ancoraggio è: «nel consolidamento strutturale in alcune aree geografiche e vaste del Paese. Dal nuovo triangolo industriale tra Lombardia, Veneto, Emilia Romagna alla fascia dorsale lungo l’Adriatico».

La terza piastra: «nuova sensibilità ai problemi del clima, della qualità ambientale, della tutela del territorio che «muove ad una spontanea e diffusa partecipazione». Quarta piastra: «Il risparmio privato che ha permesso una sostanziale tenuta sociale», «sembra restare una polizza assicurativa più che una opportunità di sviluppo». Quinta piastra: “la dimensione europea”.

Alle “cinque piastre” si affiancano i “muretti a secco”, «una multiforme messa in opera di infrastrutture di contenimento dei fenomeni erosivi generati dalla difesa solitaria dei singoli», grazie a processi temporanei e tempestivi di appoggio». Si tratta di una fitta rete di incubatori e acceleratori di imprese innovative nei quali diverse migliaia di giovani tentano una esperienza imprenditoriale», ma anche «i tanti festival, eventi culturali di ogni genere e scopo, senza che vi sia, in pratica, città o borgo che non ne progetti o organizzi uno».

In questo contesto spicca il “fallimento della politica”. «I limiti della politica attuale sono nella rassegnazione, nel non decidere…La politica ha smarrito se stessa».

Il decennio 2008-2018 rimane politicamente incompiuto e così «viviamo in un Paese privato di un passaggio in avanti a lungo promesso, ma che non c’è mai stato». Lo dimostrano «le tante, troppe riforme strutturali annunciate, ma mai concretamente avviate».

In conclusione, l’Italia vive in una sorta di sindrome da stress post-traumatico. La mobilità sociale è bloccata. La risposta è nella ricerca di “stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro: consumi controllati, corsa alla liquidità e nero di sopravvivenza.»

Domina la stanchezza. Il consumo di ansiolitici e sedativi è aumentato del 23 %. Il 76% non ha fiducia nei partiti ma crede all’Europa unita, per fortuna. Il 61% dice no al ritorno alla lira. Il 62% no all’uscita dall’Euro e dalla UE. La società appare più violenta con aumento di femminicidi e di atti di intolleranza e razzismo.

Giuseppe De Rita afferma: «Noi più soli a forza di vaffa ma il livore sta passando di moda». Una fotografia sintetica di un Paese comunque dalle grandi potenzialità: il 44 % degli italiani è preoccupato dal lavoro. In 4,4 milioni usano psicofarmaci. In 10 anni 400 mila under 40 all’ estero.

Con un serio programma politico concordato tra le forze di maggioranza nei prossimi mesi, in dialogo con le opposizioni e con la società civile organizzata sempre più vivace e positiva, attraverso una forte riscossa civica e rinnovamento dei partiti, possiamo invertire la rotta del declino e avviare la stagione della prosperità inclusiva entro il 2030.