di Pál Tóth.

 

Il centrodestra conquista il 45 per cento dei voti, la sinistra perde terreno e si rinforza l’estrema destra. Il presidente uscente avrà, per la seconda volta, i due terzi dei seggi in Parlamento. Si spera che passata l’emergenza economica lo stile di governo sia meno centralistico e più partecipativo
La vittoria travolgente di Orbán, alle elezioni politiche del 6 aprile, avrà delle conseguenze importanti non solo per la politica interna magiara ma, con grande probabilità, anche per quella europea. L’operato del premier ungherese esce fuori dagli schemi consueti dei leader europei in generale perché ha cercato di intraprendere una strada autonoma nel sanare la grave crisi economica del Paese e nell’affermarsi come partner di uguale diritti e doveri in un’Europa guardinga. Il governo Orbán ha saputo portare l’Ungheria fuori da una situazione economica disastrosa in cui si trovava prima del 2010, scegliendo di fare a meno del Fondo monetario internazionale e delle misure di aggiustamento da esso richieste. Le imposte sulle banche e sulle multinazionali, il taglio del 20 per cento delle bollette energetiche e le misure di incentivo all’impresa privata, oltre che una tassazione atta a favorire il capitale magiaro a scapito di quello straniero, hanno contribuito a registrare la crescita del Pil, sempre in positivo da più di un anno e stimato al 2,1 per cento per il 2014.
Alla popolarità di Orbán ha contribuito tanto anche l’esser riuscito a ripristinare l’autostima degli ungheresi, compromessa dalla sfida lanciata alle istituzioni europee sulla difesa degli interessi nazionali del Paese. Ha poi aperto anche alla possibilità della doppia cittadinanza per gli ungheresi all’estero, mossa anch’essa molto apprezzata.
Orbán, nel perseguire gli scopi del suo governo, pur rispettando le norme dello Stato di diritto, ha sfruttato al massimo le possibilità dei due terzi di seggi parlamentari, realizzando un governo centralista e poco sensibile al dialogo. I dati emersi dalle urne parlano chiaro: l’alleanza Fidesz-KDNP (il partito di centrodestra dei “giovani” democratici, alleato con la Democrazia cristiana) ripete il successo del 2010, con 44,54 per cento dei voti. La Coalizione democratica (alleanza di socialisti, correnti di sinistra e liberali) ne conquista il 25,99, il Jobbik (estrema destra) ottiene il 20,54 e l’Lmp (verdi) il 5,26. E la distribuzione dei seggi non lascia dubbi: la coalizione del presidente, Fidesz-KDNP, ne ottiene 133, Coalizione democratica 38, Jobbik 23, Lmp 5.
La mancanza di un’opposizione autorevole, anche per i numeri, ha contribuito anche alla formazione di uno stile autoritario del sistema governativo e questo sia a livello nazionale che locale.
L’Ungheria avrebbe bisogno di un’arena politica più sana ed equilibrata, con programmi diversificati e credibili. La situazione creatasi dopo le elezioni, purtroppo, non rafforza queste attese. La Coalizione democratica si è disfatta subito dopo la constatazione della sconfitta e gli estremisti di Jobbik si sono rinforzati per diventare il partito più forte dell’estrema destra in Europa. Lmp, l’unico partito all’opposizione che ha potuto mostrare, durante tutta la campagna elettorale, un programma coerente e un’integrità morale, è appena riuscito a varcare la soglia del 5 per cento.
Un filo di speranza per una vita pubblica più articolata e costruttiva trapela proprio dagli ambienti governativi, i quali assicurano che, passata la situazione di emergenza, lo stile centralistico cederà gradualmente il posto a processi più partecipativi e comunitari.
Fonte: Città Nuova Italia