Il nostro Paese può rivedere la scelta politica di non aderire alla convezione Onu di messa al bando delle armi nucleari. Ma occorre rimuovere le bombe presenti a Ghedi e Aviano, senza per questo dover uscire dalla Nato. La profezia di La Pira, nell’intervista a Lisa Clark (Ican), Nobel per la pace 2017

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A un anno dal 7 luglio 2017, data di approvazione in sede Onu del Trattato di proibizione delle armi nucleari (Tpnw), quale è la posizione del nostro Paese nel contesto mondiale? Secondo un sondaggio realizzato da YouGov per l’Ican (Campagna internazionale contro gli ordigni nucleari), organizzazione premio Nobel per la Pace 2017, ben il 65 % della popolazione italiana sarebbe d’accordo allo svuotamento degli arsenali nucleari dalle basi statunitensi di Ghedi e Aviano, mentre quasi il 70% sembra favorevole a una adesione al trattato di proibizione delle armi nucleari.

Con Lisa Clark, rappresentante in Italia di Ican, abbiamo già approfondito sul sito lo scenario di possibile denuclearizzazione della regione asiatica, dopo l’incontro inaspettato tra Usa e Corea del Nord. Come è noto i recenti governi italiani sono stati refrattari ad ogni ipotesi di adesione al Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari adottato il 7 luglio 2017 dalla Conferenza dell’Onu con il voto positivo di 122 Stati.

Singoli cittadini, enti locali e anche parlamentari hanno sottoscritto la petizione “Italia ripensaci” lanciata da “Rete disarmo” e “Senza atomica” per chiedere una inversione di marcia del nostro Paese. A prescindere dal successo dell’iniziativa con il governo in carica, che deve esprimere una sua linea definita a livello internazionale, esistono alcuni problemi che merita affrontare nel dettaglio con Lisa Clark.

Come si può immaginare l’adesione dell’Italia al Trattato per l’abolizione delle armi nucleari tenendo conto dei rapporti in essere con gli Usa, fortemente contrari, e la presenza di ordigni nucleari sul nostro territorio?
L’Italia, per aderire al Trattato, dovrebbe presentarsi al consesso degli Stati che ne gestiranno l’attuazione, una volta entrato in vigore, con un piano per la rimozione delle armi nucleari ad oggi presenti sul nostro territorio. Con precise scadenze e meccanismi di verifica. Oppure con una dichiarazione che le stesse sono state rimosse. L’Italia non può aderire fintanto che non sarà pronta almeno a iniziare dei negoziati per la loro rimozione. Azione richiesta a più riprese negli anni scorsi.

In che modo? Come vi siete mossi in passato?
Una decina di anni fa presentammo una legge d’iniziativa popolare, con pochissimi articoli, che mirava a dichiarare l’Italia “Paese libero da armi nucleari”. Ricordiamo che una quindicina di anni fa, quando emerse il dato della presenza a Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone) di alcune decine di bombe B-61, un ministro della Difesa di allora ci rispose che «sono lì da tanti anni e non hanno mai causato problemi». Quindici anni fa era probabilmente così. Si trattava di armi militarmente obsolete: da caricarsi su cacciabombardieri (i Tornado italiani e gli F16 statunitensi) per essere sganciate sulle città della Russia. Nel 2005 la Russia non era un nemico, tutte le situazioni belliche venivano da regioni geografiche dove questi aerei non riuscivano ad arrivare. In quegli anni molti generali Usa, interpellati sulla presenza in alcuni paesi europei di questi residui della Guerra Fredda, risposero che sarebbe stato molto meglio riportarle a casa: non servivano, erano ferri vecchi, potevano diventare un rischio a portata di terrorismo, costavano un sacco di soldi al sistema militare Usa con ispezioni, manutenzioni, ecc.

E allora, cosa ha impedito di smantellare queste bombe nucleari presenti nel nostro Paese?
A mio parere si è trattato della scelta dei governi italiani (di ogni colore), che hanno considerato utile la custodia sul nostro territorio di questi strumenti (inutili, obsoleti, che nessuno aveva l’intenzione di usare) per dare prestigio all’Italia(!?). L’ Italia, un alleato insieme ad altri, ma un po’ più importante degli altri, un alleato in cui si ha completa fiducia e al quale si affida il compito di custodire degli strumenti di sterminio. Ipocrisia che ritengo terribile.

Nel frattempo il contesto geopolitico è radicalmente mutato…
Già, oggi la situazione è cambiata. I rapporti con la Russia non sono più come all’inizio del secolo, i focolai di tensione si sono diffusi anche in regioni accessibili ai cacciabombardieri. E, soprattutto, è in fase di sviluppo un ammodernamento delle B-61 che le renderà delle armi completamente diverse, con un sistema direzionale incorporato e cariche esplosive diversificate. Armi che davvero qualcuno potrebbe anche pensare di usare. Come ho scritto altrove, si stanno facendo studi giuridici commissionati dai parlamenti di altri Paesi Nato: stando alle anticipazioni, queste ricerche dimostrerebbero che non è necessario uscire dalla Nato per firmare e ratificare il trattato di messa al bando.

Infine qualche domanda personale. Come è arrivata a Firenze?
Sono giunta a Firenze da bambina, più o meno all’età in cui dovevo iniziare la scuola. Con mia madre, statunitense, vivevamo a Ischia. La mamma decise che alla sua piccola doveva offrire il meglio: Firenze, Umanesimo, Rinascimento. Pensò che fosse la città perfetta per trovarvi una scuola per me.

Che legame si è creato tra essere statunitense e vivere nella città segnata dall’azione profetica di Giorgio La Pira?
La Pira l’ho conosciuto solo dopo. Però la sua influenza è stata per me fortissima. Ho fatto conoscere la sua storia e qualcosa dei suoi scritti a Tadatoshi Akiba, nel 2005 sindaco di Hiroshima e presidente di Mayors for Peace, l’associazione che ha come obiettivo quello di riunire le città del mondo nel nome del disarmo nucleare. I giapponesi non lo avevano mai sentito nominare. Preparai un breve discorso con brani in inglese degli scritti di La Pira e, alla fine, il Sindaco Akiba esclamò: «Giorgio La Pira è stato il profeta di Mayors for Peace!».

Oggi, che mi occupo di disarmo nucleare a livello internazionale, il pensiero di La Pira è fondamentale, ci ritorno in continuazione. Nella nostra storia, ci ricorda La Pira, gli Stati vanno e vengono, ma «le città restano come libri vivi della storia umana e della civiltà umana: destinate alla formazione spirituale e materiale delle generazioni future. Le città non possono essere uccise». Messaggio fondamentale per l’impegno a mettere al bando quelle armi – uniche al mondo – concepite proprio per distruggere le città.

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