colombiaIn pieno centro di Bogotà, davanti al palazzo Bancolombia, esplodono due auto con alte fiamme, si sente l’eco delle bombe, la gente scappa, la zona è totalmente militarizzata dall’esercito con franchi tiratori: per fortuna non è il terrore delle auto-bombe di Pablo Escobar, ma il set cinematografico dove il Premio Nobel della Pace Manuel Santos visita lo scenario dell’ultimo film di Hollywod domenica 4 febbraio. Ecco la modernità colombiana del secolo XXI mentre la Capitale della Repubblica è sotto assedio dell’insicurezza e dell’immondizia.

Sono già cinque giorni che il Municipio non raccoglie l’immondizia, che si accumula lungo le strade nel mezzo di un malessere provocato dall’irresponsabilità del Sindaco Peñalosa; migliaia di moto stanno bloccando varie arterie metropolitane per la decisione di Peñalosa di non permettere che le moto accompagnino un passeggero (un modo normale per ridurre i costi di trasporto nell’economia familiare), come misura preventiva di fronte all’esplosione di assalti e furti, ad opera di criminali che utilizzano spesso le moto. Si prevede che stanno per essere licenziati dal Municipio 3700 operai di Agua Bogotà.

Per capire meglio la situazione occorre fare un passo indietro. Prima di Peñalosa era stato sindaco Gustavo Petro, ex guerrigliero di M19, già senatore ed esponente di spicco dell’opposizione di sinistra del Movimento Progresistas (il primo che ha denunciato il potere politico dei paramilitari, in primis di Salvatore Mancuso e la liason del narcotraffico con la ndrangheta calabrese). Il mandato di Petro era stato momentaneamente interrotto per una condanna del sindaco a 15 anni di inabilità a ricoprire i pubblici uffici, a seguito di un’inchiesta del controverso procuratore Alejandro Ordóñez Maldonado (oggi candidato presidenziale), noto per la sua appartenenza ai circoli conservatori. Pedro aveva subito tale condanna per l’accusa di gravi “irregolarità” rilevate nella sua politica di gestione dei ciclo dei rifiuti urbani; una situazione (cavalcata dagli oppositori di Petro, che non gli perdonava di aver organizzato 19.000 riciclatori in cooperative per promuovere lavoro dignitoso, cancellando i contratti di privatizzazione dei rifiuti in mano alle grandi imprese, come documentato da Unimondo) che il 18, 19 e 20 dicembre 2012 provocò gravi disagi nella capitale.

Lo stesso presidente Juan Manuel Santos non esitò a denunciare il provvedimento contro Petro come un atto di “guerra sporca” alla credibilità della nuova fase di riconoscimento e riconciliazione nazionale. Il quadro cambia, quando il 24 aprile 2014 il Tribunale Superiore reintegra Petro nelle sue funzioni, giudicando la destituzione una palese violazione dei principi fissati dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani. Petro termina il mandato, mentre la credibilità politica di Santos cresce notevolmente e Bogotà risulta determinante nella rielezione, nel giugno 2014, di Santos che nella capitale passa da un consenso di poco meno di 450.000 (del primo turno) voti fino a oltre 1.300.000 (del secondo turno)… Tuttavia alle elezioni comunali successive vince il neoliberale Peñalosa (alleato dell’ex presidente Uribe), ma per l’attuale sindaco non sono previste azioni disciplinarie dopo 4 giorni in cui non manda a raccogliere l’immondizia.

In questo contesto si stanno avvicinando importantissime (ed enigmatiche scadenze elettorali). Le Elezioni parlamentarie saranno domenica 11 marzo mentre le elezioni presidenziali in Colombia sono in programma il prossimo  27 maggio 2018: come si stanno disponendo i potenziali candidati? Petro probabilmente ci sarà.

Va registrata una grande frammentazione del centro-sinistra. A oggi guidava i sondaggi Sergio Fajardo, ex sindaco di Medellín, ed ex governatore della Regione di Antioquia. A sostenerlo non c’è alcun partito vero e proprio, ma il movimento civico Compromiso ciudadano, insieme alla senatrice verde Claudia Lopez che ha raccolto ben quattro milioni di firme per fare un referendum contro la corruzione. Ma nell’ultima nell’inchiesta di RCN e Semana del 4 febbraio, Petro balza al primo posto con 23% delle intenzioni di voto a livello nazionale, ma ben il 36% nella capitale bogotana.

Questo percorso elettorale arriva in un momento delicato: a fine gennaio l’Esercito di Liberazione Nazionale ELN ha rotto la tregua e ricomincia attentati, come quello a Barranquilla con 6 poliziotti assassinati ma anche la caserma fatta esplodere a Esmeraldas, Ecuador, dimostrazione del potere criminale della dissidenza Farc che non ha accettato di smobilizzarsi e diventare un partito politico (che gode dello 0,01% secondo ultimi sondaggi), e continua a seminare terrrore attraverso il narcotraffico.

Santiago Castro Gomez, professore della Pontificia Università Javeriana dei gesuiti di Bogotà e membro della REC – Red de Estudios Criticos Latinoamericanos, afferma: “Saranno le elezioni più importanti degli ultimi due decenni. Innanzitutto, perchè saranno una prova definitiva della direzione che prenderà tutto questo fermento politico dopo lo spartiacque degli accordi: capiremo se l’ultra-destra (il rappresentante del Centro Democratico dell’ex presisidente Uribe Velez o Vargas Lleras, uscente vice presidente della repubblica) riuscirà a ritornare al potere oppure se tanti anni di lotta e movimenti sociali in questi anni riusciranno a creare, pur nelle differenze, una volontà popolare comune di un qualche tipo e così cominciare a cambiare dal basso le istituzioni. C’è anche un astensionismo molto esteso in Colombia, il che rende tutto ancora più complicato”.

Cristiano Morsolin, esperto di diritti umani in America Latina dove vi risiede dal 2001.