di Lucia Fronza Crepaz

 

 

Venerdì 13 ho seguito la tragedia di Parigi (e della Siria e dell’Iraq…) accanto a mia figlia, diciannove anni tra alcuni giorni, sconvolte entrambe dalle proporzioni delle domande che ci arrivavano da quei fatti. Come orientarsi, attraversare il dolore di quelle morti e capire cosa fare, come genitori, come formatori, come semplici cittadini?

E, nella responsabilità di trovare una risposta convincente, ho pensato a quando io avevo la sua stessa età, a quali erano gli scenari e le persone che erano davanti a me. Il mondo, con luci e ombre era però nel pieno di una speranza di grandi cambiamenti. La mia generazione era sicura di avere in mano la possibilità di migliorare decisamente le cose, resa certa e ispirata da tante grandi figure che lo stavano facendo di persona, Luther King, Olivetti, Giovanni XXIII, Kennedy, Paolo VI, Chiara Lubich… E quella spinta per tanti di noi da quel tempo è ancora viva…

Una volta se volevi colpire una stato prendevi Moro e lo uccidevi, ora il bersaglio è la gente. Ho capito cosa vuol dire essere popolare oggi, cosa vuol dire schierarsi con il popolo. La prima necessità oggi è una cultura che dia ad ognuno le chiavi di lettura per capire, per essere all’altezza della sfida, non si può delegare a nessuno il giudizio, perché è la gente comune la protagonista oggi. È la gente comune che sta emigrando forzatamente, è la gente comune che viene chiamata a rappresentare il nemico e ad accogliere il diverso che arriva. Chi ha in mano il filo d’arianna della formazione deve fare una scelta popolare.

E lì ho capito assieme a mia figlia, in una sorta di patto tra le generazioni, che occorre puntare decisamente sulla formazione. Oggi i cambiamenti in atto richiedono scelte responsabili, sostenute da una adeguata, profonda cultura, dovunque ci sono bivi strategici nel micro delle decisioni personali quotidiane e nel macro delle decisioni che ci coinvolgono tutti.

Se allora, quando ero giovane io, decisamente il valore da approfondire, per poter essere all’altezza, era quello dell’uguaglianza, oggi dobbiamo impegnarci a capire cosa vuol dire quella “fratellanza” di cui parla il primo articolo della dichiarazione dei diritti dell’uomo.

“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”

Solo la dimensione della “famiglia umana” ci salverà.

Pensare e agire ampiamente vuol dire conoscere la geografia non solo dell’Europa, ma di tutto il Mediterraneo e della regione subsahariana da cui provengono molti nostri nuovi concittadini, studiare e mettere a confronto la nostra storia con la storia degli altri popoli per capire, per ragionare prima di compromettere definitivamente una possibile pace. All’estremismo della violenza si risponde con una rivoluzione culturale, ad esso bisogna rispondere con altrettanta radicalità, ma in modo strutturalmente diverso, cioè con una cultura che ci porti all’«estremismo del dialogo». Ciò che temono quelli dell’Isis, dicono i veri esperti, non sono le bombe, è il dialogo.

E le occasioni culturali vanno moltiplicate e incrociate in nuove forme di mutuo aiuto.

Nella scuola, a cominciare da quella dell’obbligo, riprendiamo decisamente in mano l’educazione alla cittadinanza, che renda coscienti ognuno di noi fin da bambini che apparteniamo ad una comunità che formiamo e che ci forma con doveri e diritti, regole e chance. Forse la vera libertà oggi i nostri giovani possono trovarla solo nell’”appartenere”.

Nelle nostre mille forme associative non diamo più per scontata l’adesione alla ragione sociale, per poter aprirci a cammini e partecipazioni nuove e non diventare da innovatori di ieri a pietre di inciampo di oggi.

Soprattutto diamoci un passo diverso dentro i ‘corpi intermedi’ (partiti, sindacati, strutture cooperative, libere associazioni di artigiani, contadini, camere di commercio…) che sono stati elemento di innovazione criticamente costruttivo nella ricostruzione democratica del nostro paese e della nostra autonomia. Oggi si mostrano refrattari alle riforme non più rinviabili, rimettiamoli in campo verso una reale nuova capacità di rappresentazione, cominciando da un grande ascolto.

Il mio giornalaio di fiducia a Port’Aquila oggi mi ha dato una conferma. “Neanche spremendo un limone oggi tiriamo fuori niente!” e io: “Ma ognuno di noi può fare ogni giorno qualcosa!” “Va ben, te gai reson, fen così! Basta ciacere!”

Maria Stella, in cerca della sua parte, sta valutando di rispondere all’invito di un gruppo per fare sport assieme a dei giovani rifugiati.

Lucia Fronza Crepaz

Scuola di Preparazione Sociale