a cura di Maddalena Maltese

 

Il radicamento del fondamentalismo sui territori, il coinvolgimento dei Paesi occidentali in aree diverse del pianeta, la crisi energetica, la frammentazione del mondo arabo: Vincenzo Buonomo docente di diritto internazionale all’Università lateranense a Roma, spiega le ragioni del conflitto

Armi in LibanoParte dall’analisi dei dati il professor Vincenzo Buonuomo, docente di diritto internazionale all’Università lateranense di Roma, che raggiungiamo di ritorno da Ginevra a termine di un incontro con la commissione sui diritti umani dell’Onu.

Come interpretare l’attuale crisi mediorientale?

«Partirei dalla constatazione di alcuni fatti. Anzitutto la presenza sul territorio di attori di provenienza diversa da quello scenario geografico che hanno però interessi diretti sulla zona: da un lato l’Europa, dall’altro gli Stati Uniti, dall’altro ancora i Paesi a maggioranza musulmana che non sono ordinariamente presenti nell’area. C’è in questo momento storico un interesse diffuso su questa parte di mondo».

A proposito dei Paesi musulmani, non sembra si siano prese sufficienti distanze dagli atti sanguinosi dell’Isis?

«Dobbiamo riconoscere che non c’è una voce univoca o unitaria del mondo islamico musulmano, basta vedere le posizioni assunte dalla Lega degli Stati arabi o dalla cooperazione islamica che si sono espresse con dichiarazioni molto deboli di fronte ad un conflitto che interessa i Paesi dell’area e non solo. Bisogna aggiungere poi che ognuna di queste nazioni cerca di rigettare sul Paese vicino o confinante le cause della crisi in atto, quindi ci troviamo di fronte ad un atteggiamento di non assunzione di responsabilità, in cui si imputano le colpe sempre all’altro».

E intanto il fondamentalismo cresce…

«Occorre precisare che abbiamo dei fenomeni di fondamentalismo che sono noti e non sono sorti dal nulla, come oggi potrebbe sembrare. L’aspetto nuovo è il legame con il territorio. Fino ad oggi il fondamentalismo – e ci terrei a non usare l’aggettivo islamico perché è facile cadere nel tranello delle guerre di religione – era visto come fenomeno delocalizzato che può intervenire in qualsiasi area e in qualsiasi situazione. L’esperienza dell’Isis che sta prendendo piede nell’area nordest dell’Iraq e in Siria e che trova altre emulazioni in Nord Africa, in Nigeria, nel Sudan, ora si presenta come fenomeno localizzabile. La presenza di questo gruppo violento in una parte precisa dell’Iraq, evidenzia il suo forte legame con il petrolio, perché non va dimenticato che questo piccolo Stato, prima dell’intervento americano nel ’93, forniva il 33 per cento del petrolio mondiale. Il dato nuovo di questo conflitto è certamente la localizzazione del fondamentalismo e le forme di emulazione che stanno prendendo piede in altri territori, senza dimenticare al contempo che molti governi lo utilizzano come una forma di guerra con altri Paesi».

C’è quindi un serio rischio che il conflitto si estenda…

«Si tratta indubbiamente di un conflitto estendibile ed esteso perché muove interessi diversi».

E in tutto questo brilla l’assenza delle grandi istituzioni internazionali…

«Più che assenza di strutture come l’Unione europea e l’Onu, colpisce l’assenza di una proposta alternativa di tipo politico e questo emerge sia nella situazione mediorientale che in Ucraina. Gli interventi blandi non sono disgiunti dal domandarsi: che tipo di rapporti voglio intrattenere con un Paese fonte di energia sia esso petrolio o gas? Fino a che punto i rapporti di ordine economico non verranno turbati dal prendere posizione in una direzione di condanna o in un’altra?

Siamo in uno di quei momenti della storia in cui l’immobilismo di qualcuno favorisce l’estro e la capacità di qualcun altro e accade che i vertici tra Stati si moltiplicano preoccupandosi più delle cariche da assumere o da assegnare piuttosto che di problemi ben più importanti con effetti non prevedibili».

Come legge l’affermazione del papa sulla Terza guerra mondiale diffusa?

«Premetto che non mi pongo come interprete del pensiero del papa, ma certo è che quando Bergoglio ha parlato di Terza guerra mondiale diffusa non voleva certo fare una provocazione, ma ci ha messi in guardia su una situazione reale: siamo di fronte ad un conflitto mondiale non di tipo tradizionale ma che è certamente mondiale perché è riuscito a coinvolgere simultaneamente aree diverse del mondo, questioni diverse che vanno dall’esistenza di Stati alla coesistenza di persone con credi religiosi e visioni culturali totalmente diversi. Senza dimenticare che si sta combattendo anche una guerra per superare i nuovi motivi che hanno generato la crisi economica. La lettura del papa è realistica e non affatto semplicistica».

fonte: Città Nuova

http://www.cittanuova.it/c/440644/Le_ragioni_della_Terza_guerra_mondiale.html