Di Roberto Catalano.

 

Un centinaio di chiese cristiane distrutte e mille persone uccise in scontri che nei mesi scorsi hanno preso di mira anche moschee e fedeli dell’Islam. Ma per fortuna non mancano forti iniziative controcorrente di vescovi e imam uniti per azioni comuni.

In Nigeria il 90% della popolazione si professa cristiana o musulmana. Entrambi i gruppi confessionali riconoscono le proprie radici nella religione tradizionale africana e la loro diffusione geografica è piuttosto equilibrata. Il nord è a maggioranza musulmano ed il sudest a maggioranza cristiana, mentre nel sudovest e nel centro i seguaci delle due religioni sono mescolati.

Nei giorni scorsi monsignor Ignatius Kaigama, arcivescovo di Jos, diocesi nel nord della Nigeria, dove la popolazione è di larga maggioranza musulmana, e l’imam della moschea centrale della città, lo sceicco Balarabe Daoud, hanno sottoscritto un appello comune: incrociare le mani e lavorare insieme per ricostruire chiese e moschee delle due comunità.

Monsignor Ignatius Kaigama, nel corso di varie interviste, ha tenuto a chiarire come le comunità musulmane siano state molto disponibili a collaborare nell’ambito delle diverse iniziative per sanare il tessuto sociale, nella città di Rayfield. E’ stato creato un Centro per il “Dialogo, la riconciliazione e la pace”, a cui Monsignor Kaigama crede molto. «Coinvolgiamo i leader religiosi, ma anche gli anziani ed i rappresentanti dei diversi gruppi etnici. Dobbiamo chiederci, ad esempio, come si possono tenere delle elezioni democratiche, senza soprusi e atti di violenza».

In Nigeria, le violenze degli ultimi tempi sono in gran parte dovute a gruppi jihadisti, come l’ormai tristemente famoso Boko Aram. Elemento fondamentale, che spesso i media occidentali ignorano o citano solo di sfuggita, è che, proprio nella regione di Jos, i conflitti hanno motivazioni tribali, più che religiose. Spesso, infatti, e lo ha sottolineato l’arcivescovo cattolico, si tratta di contrasti dovuti al controllo delle terre e dei pascoli.

Tuttavia, resta il rischio che la strumentalizzazione delle differenze religiose complichi non poco la situazione. L’Arcivescovo di Jos ha ricordato come nel visitare i cristiani di una di quelle comunità anche i bambini gli chiedessero: «Che cosa fa la Chiesa? Dobbiamo reagire, dateci le armi, questa è una guerra!» Ma l’arcivescovo insiste che «la nostra unica missione è quella di Gesù Cristo: la missione dell’amore». Nel giugno scorso, l’arcivescovo di Abuja, altra diocesi molto importante del Paese africano, il Card. Onayekan, nel corso di un convegno organizzato dalla Rivista Oasis, aveva sottolineato con chiarezza che in Nigeria non è in corso una “guerra di religione”, ma una serie di attacchi terroristici, portati da agenti locali e da alcuni provenienti dall’estero.

Il Boko Haram, autore di molti attacchi contro chiese e moschee è criticato da cristiani e musulmani ed il vero problema del Paese sta nell’incapacità del governo di affrontare la situazione.

Il cardinale non aveva rinunciato ad ammettere che «la violenza appartiene alla cultura nigeriana. […] Senza contare la storia delle antiche lotte tribali, della conquista coloniale e della relativa resistenza, la nostra Nigeria indipendente ha vissuto anche una dura guerra civile (detta “del Biafra”), nel corso della quale si sono verificate violenze e omicidi. In seguito, il Paese ha dovuto fronteggiare criminalità e sequestri, prodotto delle violenze degli ultimi decenni. C’è poi quella comune forma di violenza che ha sempre segnato il Paese: scontri etnici, sociali e politici».

In questo quadro, Mons. Onayekan aveva chiarito come la componente religiosa rimanga uno degli elementi di tensione. La gente lotta e si scontra, infatti, su un gran numero di questioni, e quella religiosa è solo una di queste.

D’altra parte, «il terrorismo rappresenta un elemento di novità […] e con il termine “terrorismo”, intendiamo tutte quelle azioni violente che portano all’uccisione indiscriminata di persone innocenti, senza alcuna logica apparente. Quella particolare forma che vediamo radicata nel nostro Paese, soprattutto Boko Haram nel nord-est, rappresenta una anomalia per la nostra nazione. I membri militanti sono locali. Ma essi hanno precisi legami e sostegno dall’estero ]…] A volte i terroristi – notava con realismo il cardinale di Abuja – prendono di mira personalità specifiche, come uomini politici o, è triste da dire, cristiani e chiese. Ma è difficile da capire se gli attacchi ai cristiani e alle chiese abbiano un chiaro movente religioso e quale scopo. Notiamo che, di tanto in tanto, questi gruppi manifestano la loro volontà di istituire in Nigeria uno Stato islamico, governato da una severa forma di shari’a; in altri momenti, essi hanno ordinato a tutti i non musulmani di andarsene dalle regioni che essi occupano».

In generale, le relazioni tra nigeriani di gruppi confessionali differenti sono buone e cordiali, nonostante gli eventi più recenti. «É proprio sulla base di questa buona relazione che tentiamo di costruire i nostri sforzi per superare le sfide presenti», affermava ancora Onayekem. In questo senso, l’iniziativa congiunta di musulmani e cristiani a Jos fa ben sperare per il futuro anche se la strada è ancora molto lunga e difficile.

fonte: Città Nuova