Di Katia Motta

 

È da fine maggio del 2012, da quei giorni in cui mi trovavo spesso al Centro Operativo Comunale di Cavezzo, il mio Comune di residenza, che mi chiedo come tutto quello che vedevo – il terremoto, i morti, i danni incalcolabili, e poi l’inevitabile caos organizzativo di emergenza, soccorsi, supporto alla popolazione – siano potuti succedere. Perché in un territorio come il nostro, da sempre immerso nel benessere e all’avanguardia su tanti fronti, sia potuto accadere qualcosa del genere senza che fossimo realmente pronti ad affrontarlo. E ancora, nonostante mi sia occupata del tema da vari punti di vista per cercare le giuste risposte e diffonderle, faccio fatica ad individuarne i reali motivi. Rischio sottostimato?

A giudicare dalle leggi, tutto era sostanzialmente in regola. Il che ci dice che qualcosa, nell’impalco legislativo locale e nazionale relativo alla prevenzione dei rischi ambientali, ancora manca e in modo clamoroso. E mi sono detta che colmare quel vuoto deve diventare il simbolo del nostro tributo in vite e certezze, altrimenti il terremoto dell’Emilia sarà avvenuto per niente.

Da qui nasce la mia inchiesta giornalistica sulla prevenzione del rischio sismico. Nel tempo libero, infatti, proprio in seguito al terremoto che ha colpito l’area nord della Provincia di Modena, raccolgo informazioni sul campo e le riporto tramite articoli su un giornale locale. La mia inchiesta, la cui prima parte è stata pubblicata durante il mese di settembre 2013, mira a comprendere il meccanismo istituzionale della prevenzione del rischio sismico. Per questo ho voluto iniziare “interloquendo” tramite le colonne del giornale con il Prefetto Capo della Protezione Civile Franco Gabrielli: avrebbe dovuto partecipare a un dibattito alla Festa del Volontariato a Cavezzo, ai primi di settembre, ma l’impegno del raddrizzamento della Costa Concordia aveva determinato un cambiamento di programma. Da qui è nato un botta e risposta a distanza piuttosto pungente sul tema della prevenzione del rischio sismico, che ancora continua.

Nella faticosa ricerca per comprendere dove vanno a finire e quanto siano in realtà efficaci i fondi stanziati dallo Stato per promuovere e sostenere la prevenzione, mi sto rendendo conto dell’enorme gap che sussiste tra le buone intenzioni espresse dalle misure calate dall’alto, l’efficacia delle stesse – perché questo “terremotino”, come Gabrielli stesso ha definito di recente il nostro sisma e quello dell’Aquila dimostra che siamo molto lontani dalla meta – e la mancanza delle istituzioni locali (Comuni e Regione prima di tutto) nell’avere per prime una reale consapevolezza del rischio e soprattutto della vulnerabilità di tutto il nostro patrimonio di costruzioni, vecchie o nuove che siano, che dovrebbe invece portarle a una concertazione con lo Stato su misure economiche efficaci per alzare ovunque il livello di sicurezza.

In questo gap, in questo spazio vuoto tra una visione istituzionale ancora troppo generica e generalizzata del problema e una conoscenza locale ancora limitatissima di ciò che sta sopra e sotto ai nostri piedi, si annidano zone d’ombra dove possono proliferare interessi di parte. Che sono le stesse zone dove può entrare la luce della partecipazione: solo smettendo di pensare che chi ci governa e chi ci influenza come “opinion leader a vario titolo” abbia già una verità assoluta in tasca, i cittadini terremotati si stanno rendendo conto di come è cruciale il proprio ruolo in questo momento di ricostruzione. Il mettersi di fianco alle persone che sono nelle istituzioni per trovare insieme il bandolo della matassa e costruire una vera prevenzione con la ricostruzione è la sfida che anima oggi l’Emilia.

 

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