di Pasquale Ferrara

 

L’abbattimento di un caccia russo da parte dell’aviazione turca è ben più di un incidente in uno spazio aereo di confine, divenuto molto, troppo frequentato e pericolosocon l’inizio delle operazioni militari russe contro il Daesh e chissà quali altri “obiettivi” di antagonisti del regime di Assad. Dietro l’episodio, che ha già reso incandescenti(o gelide) le relazioni tra Mosca e Ankara,

si celano diversi livelli di criticità. In primo luogo, si rende palese che identificare un nemico comune – il sedicente Stato islamico – non implica lo stare automaticamente dalla stessa parte. La Russia sostiene Assad, e lo considera parte della soluzione della tragedia siriana, più che parte del problema. Al contrario, la Turchia ne vorrebbe l’uscita di scena, ma senza che ciò favorisca però l’avanzata del totalitarismo pseudo-islamista orafforzi il ruolo dei curdi nella zona di frontiera, alimentandone le prospettive secessioniste anche all’interno del territorio turco (e iracheno).

In secondo luogo, l’appartenenza della Turchia alla Nato rende molto rischiosa un’eventuale escalation nei rapporti tra Ankara e Mosca, per le implicazioni cheessa avrebbe non solo per la sicurezza in quella regione, ma anche per lo scontro politico-diplomatico, già in atto a motivo della Crimea e dell’Ucraina, tra l’Alleanza Atlantica e il Cremlino. È dai tempi della crisi dei missili a Cuba, in piena guerra fredda (1962) che la Turchia (dal cui territoriofurono ritirati i missili americani poco dopo lo smantellamento di quelli sovietici a Cuba) non acquisiva un peso così strategico nei rapporti tra Mosca e Washington. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, inoltre, benché Turchia e Russia non abbianopiù un confine comune – per l’acquisita indipendenza di Georgia, Armenia e Azerbaijan –, le frizioni nell’area del Caspio e del Caucaso sono rimaste intatte e in qualche circostanza si sono acuite (come nel caso della presa di posizione russa sulla delicata questione del “genocidio” armeno). Infine, entrambi i Paesi si sentono minacciati da movimenti separatisti, conla recrudescenza della questione curdain Turchia e, per la Russia, a motivo delle crisi ancora in atto in Cecenia, Daghestan e Inguscezia. Circostanza non da poco è che al potere vi siano due “uomini forti” come Putin ed Erdogan, che giocano entrambi la carta della sicurezza interna ed esterna, che si materializza in un’agenda internazionale molto assertiva e spregiudicata.

Quello che è certo è che in quella area del mondo non è mai consigliabile giocarecol fuoco. I venti di guerra che vi soffiano richiederebbero assai più responsabilitàe meno avventurismo, più istituzioni internazionali e meno azioni unilaterali.