Dopo le elezioni del 4 marzo, il nostro Paese dovrà decidere come rispondere alle onuove scelte di politica economica promosse dal duo Merkel-Macron

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Nel buio di questo mondo travagliato da guerre calde e fredde, bombe, veleni, dazi che ostacolano i commerci ed espulsioni di addetti alle ambasciate, l’accordo dei socialdemocratici tedeschi a partecipare con i popolari in un nuovo governo Merkel brilla come una piccola luce, ancora tremula, ma importante per l’Europa e direi anche per il mondo intero.

I socialdemocratici tedeschi, bruciati dal risultato elettorale negativo dovuto alla precedente collaborazione con i popolari, dopo un iniziale diniego hanno accettato di entrare in una nuova collaborazione solo dopo aver firmato un programma ben preciso in grado di imprimere una vera svolta verso una politica più aperta e solidale: non solo in Germania, ma anche in Europa, il continente di cui per forza di cose sono alla guida. Si tratta della stessa svolta che Macron aveva proposto ai francesi quando ha chiesto di essere eletto presidente, quella che è stata pienamente condivisa dai governi italiani, sia di Renzi che di Gentiloni.

Una svolta condita di obiettivi concreti: trasformare il fondo salva-stati, costituito anni fa per superare la crisi finanziaria greca, in un vero Fondo monetario europeo in grado di intervenire come quello internazionale in eventuali crisi nazionali; dotare la Comunità europea di un ministro delle Finanze, con a disposizione risorse della BCE per finanziare la Comunità stessa, liberando gli stati aderenti da quel compito; avviare grandi investimenti in infrastrutture logistiche e di comunicazione per connettere tutte le aree del continente; attivare un “Piano Marshall”, simile a quello americano del secondo dopoguerra, per la ricostruzione dell’Europa, questa volta dedicato allo sviluppo economico alle nazioni dell’Africa.

Varato il nuovo governo tedesco, adesso Merkel e Macron guardano con preoccupazione l’antieuropeismo che si è sviluppato negli elettori italiani, da sempre tra i migliori amici dell’Europa: lo si nota chiaramente nei risultati delle elezioni italiane del 4 marzo, e può essere una conseguenza della ottusa chiusura europea verso i migranti che raggiungono le nostre coste per salvarsi da guerre e persecuzioni nella speranza di crearsi qui una vita migliore di quella che oggi li attende nelle loro terre.

Nelle elezioni italiane hanno prevalso i partiti che hanno suscitato speranza promettendo aiuti economici o minori imposte, promesse che quelli che erano al governo non potevano fare perché responsabili dei conti dello Stato: i vincitori hanno dichiarato che le risorse le avrebbero trovate se necessario anche non rispettando gli impegni europei, facendo finta di dimenticare che, come la storia recente ha dimostrato, così avrebbero esposto il paese a bufere finanziarie e impoverimento generale.

In questi giorni i partiti che devono costituire il nuovo governo italiano devono decidere se conviene loro continuare con l’atteggiamento critico, di distacco e di accusa alla Comunità Europea, oppure abbandonarlo proponendosi come terzo Paese fondatore, sostenitore convinto di questa nuova era della Comunità.

È un appuntamento con la storia unico, divenuto possibile grazie alla Brexit che ha messo fuori gioco la Gran Bretagna, da sempre ostile alla maggiore integrazione europea; è un appuntamento fragile, la storia dell’Europa e del mondo, in questo momento così turbolento, può muoversi in direzioni diverse.

Per quanto riguarda i problemi dell’Italia, stranamente oggi proprio quell’Europa a cui si dà colpa dei problemi interni, è quella che potrebbe offrire al governo che verrà le risorse necessarie a risolverli.

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