Anna Maria Panarotto – mamme NO-Pfas – Vicenza, Italy
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Il gruppo “Mamme no PFAS” è sorto nel Veneto agli inizi del 2017 quando è venuto alla luce un gravissimo inquinamento idrico di una importante falda acquifera, seconda in Europa e prima in Italia per grandezza, per lo sversamento di sostanze perfluoro alchiliche, o PFAS, che un’azienda chimica insediata nella zona di ricarica della falda ha effettuato per oltre 40 anni, fino ad avvelenarla totalmente.
Nel 2017, quando l’Azienda sanitaria pubblica ha disposto un monitoraggio nella cittadinanza, i valori rilevati sono stati come lame che hanno ferito profondamente ogni famiglia: di fronte ad un valore massimo tollerato di 8 ng/ml, i risultati andavano da 90 a 300, perfino 1000 ng/ml.
Quattro mamme preoccupate ed arrabbiate si sono cercate per condividere il dolore. Alla rabbia ben presto è subentrata la determinazione a fare qualcosa da mamme e cittadine. Sono una di loro e mi chiedevo come era potuto accadere sotto i nostri occhi un disastro simile. La prima esigenza era quella di capire cos’era successo; abbiamo iniziato a studiare tutta la documentazione disponibile e abbiamo scoperto che era pubblica da tempo, quindi a disposizione delle istituzioni, che però fino ad allora non avevano ritenuto di allertare la popolazione. Già dal 1966 l’impresa produceva sostanze impermeabilizzanti destinate a innumerevoli prodotti di uso ordinario, e i residui di lavorazione, altamente tossici, bioaccumulabili e indistruttibili, si erano meritati il titolo di “veleno perfetto”: che non si vede ma penetra nei nostri tessuti, agendo come interferente endocrino e causando problemi alla tiroide, aumento del colesterolo e diminuzione della fertilità maschile e femminile.
La falda ormai è stata inquinata e lo rimarrà per almeno 50 anni; l’acqua scorre e quindi le acque dei fiumi e dei torrenti, inquinate, hanno irrigato anche le campagne e rifornito gli allevamenti di animali, così che i PFAS sono ormai entrati nella catena alimentare. C’era da abbattersi, anche perché si intravedeva un percorso difficile, con evidenti interessi nascosti. Eppure Chiara Lubich mi aveva trasmesso un’idea alta della politica e dell’economia, a cui anche i cittadini, anche le famiglie, devono contribuire attivamente. Per questo, sostenuta da tanti che condividono questa visione, mi sono impegnata a fondo e continuo a farlo.
Il nostro gruppo si chiama “Mamme no PFAS-genitori attivi” e conta alcune migliaia di mamme e genitori in tutta la “zona rossa”: 32 comuni del territorio in cui l’allarme è più grave. Con la documentazione in mano, abbiamo iniziato ad incontrare i nostri rappresentanti nelle istituzioni, prima di tutto i sindaci, gli assessori regionali, il presidente della Regione Veneto e il Ministro dell’ambiente. Incontri schietti: sapevamo cosa chiedere loro e non ci sentivamo inferiori, decise piuttosto a metterci a loro fianco, di fronte ad un problema così grave.
Nell’ottobre 2017 la prima grande manifestazione pubblica nel paese più colpito; hanno partecipato più di 10 mila persone, 50 sindaci, oltre ai presidenti della Provincia di Vicenza e Verona. Abbiamo avuto il patrocinio di 120 comuni. A seguito di questa mobilitazione, la nostra richiesta di acqua pulita ha portato all’installazione da parte dei gestori degli impianti di distribuzione di una serie di filtri, mentre la Regione Veneto ha posto limiti alla presenza di PFAS nelle acque.
Ma era evidente che il dialogo tra le parti era estremamente difficile, soprattutto quando le persone erano di schieramenti diversi. Ad esempio, una grossa questione come quella della costruzione di nuovi acquedotti non andava avanti per il continuo rimbalzare della competenza tra regione e ministero; eppure ci dicevano di concordare sulle decisioni da prendere. Per superare l’empasse, abbiamo promosso un incontro presso il Ministero anche con la nostra presenza, con lo stile delle mamme che si mettono intorno ad un tavolo con i figli. Ore di dialogo, per approfondire e mediare, finchè si è giunti all’accordo e ogni ente ha assunto precisi impegni che sono stati finanziati.
Fin dall’inizio ci siamo occupate anche delle normative europee sulle acque destinate al consumo umano, un tema già in discussione al Parlamento Europeo, dove un gruppo di noi ha potuto recarsi nel 2018 per una conferenza stampa e poter parlare con molti parlamentari di tutti i gruppi. Dopo Bruxelles, siamo state anche a Strasburgo in occasione della votazione di alcune mozioni importanti. Ricorderemo quel viaggio come una battuta di arresto: la mozione che è stata approvata, infatti, innalzava i limiti di PFAS nell’acqua… In quelle settimane ci siamo scoperte capaci anche di produrre un breve video, che via email abbiamo inviato ai ministri dell’ambiente dell’Unione Europea: una comunicazione semplice, in cui 30 famiglie rivolgevano un messaggio diretto e personale ad ogni ministro.
Una luce in quei mesi difficili è stata la lettera che abbiamo ricevuto da papa Francesco, in cui ci scriveva, tra l’altro: “…proseguite con pazienza e perseveranza nel cercare le vie buone per la soluzione del problema”. Pazienza e perseveranza: abbiamo riscoperto questi doni che ci vengono dall’essere madri. L’esperienza ci insegna che questa è la nostra arma vincente: infatti, in questi anni siamo state ricevute da tutti, senza intermediari, trovando attenta considerazione.
Oggi a livello regionale siamo impegnate per la bonifica del sito inquinato e inquinante. Siamo l’unico gruppo della società civile accreditato alla Conferenza dei servizi e al tavolo tecnico e ci sembra particolarmente importante, perché è l’etica (la stessa etica della nostra vita quotidiana che cerca il bene prima di tutto) che deve guidare anche le scelte industriali e politiche. Non possiamo lasciarci soggiogare da ricatti terribili, come ad esempio quello tra salute e lavoro.
Il processo per disastro ambientale contro l’industria chimica Miteni è iniziato due anni fa; nel maggio 2021 il giudice ha rinviato a giudizio 15 manager delle varie multinazionali che negli anni si sono succedute e nel prossimo mese di luglio inizierà quello che è stato definito il più grande processo nazionale per inquinamento. Nel frattempo, abbiamo partecipato anche al tavolo tecnico (che abbiamo ottenuto anche con un sit-in!) con Ministero della Sanità, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Istituto Superiore di Sanità, Confindustria, Federchimica, WWF e… Mamme no PFAS. La richiesta di porre limiti vicini allo zero agli scarichi altamente inquinanti è per noi un punto fondamentale, anche a livello nazionale, per cambiare visione, perché l’inquinamento che abbiamo avuto nel Veneto si sta verificando in scala maggiore in altre regioni.
Infine c’è la collaborazione con gli altri gruppi che abbiamo incontrato negli anni, impegnati come noi ad affrontare gravi situazioni di dissesto: per questo, dopo essere state a Taranto, è nata la rete “Mamme da nord a sud” che oggi riunisce 50 associazioni di ogni regione d’Italia. Stare insieme è fondamentale per condividere le ferite dei nostri territori, ma anche per avere più forza e guardare al futuro, per cambiare le cose.
Questa esperienza è stata presentata durante il convenio internazionale CO-GOVERNANCE corresponsabilità nelle città oggi, dal 17 al 20 gennaio 2019
Panel 4 – Democrazia partecipativa e deliberativa verso una matura Co-Governance
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